- Tempo di lettura: 6'
1. Generare profitto attraverso lo scambio
Nell’articolo dedicato al profitto sostenibile, ho riportato la più semplice definizione di profitto che possiamo immaginare, cioè la differenza tra ciò che un’attività economica guadagna dalla vendita dei prodotti o servizi e i costi che deve sostenere per realizzarli.
Questa definizione funziona ed è semplice, ma ahimè ha due problemi. Non coglie la dimensione dello scambio e dimentica nel camerino l’altro attore protagonista: l’altro, appunto, o, semplificando, il “cliente”, che non compare da nessuna parte. Diciamo che è venditore-centrica.
Non penso ci siano dubbi sul fatto che sotto il tema del profitto ci sia uno scambio. Che siano soldi in cambio di un hamburger, soldi in cambio di diritti di proprietà, fidelizzazione in cambio di uno sconto o di diritti d’autore in cambio di visibilità poco conta. Se niente entra nello scambio, niente esce dallo scambio, nemmeno il profitto.
Volendo dare un nome più interessante ai partecipanti allo scambio per andare un po’ oltre la classica dicotomia venditore-cliente, c’è l’imbarazzo della scelta. Economisti, sociologi, filosofi, matematici, hanno costruito un ampio repertorio tra cui scegliere. Penso che scegliere qualcosa di diverso da venditore-cliente sia utile a focalizzare il fatto che anche il venditore compra qualcosa e anche il cliente vende qualcosa.
- il venditore vende un’auto e compra fidelizzazione / il cliente comprare l’auto e vendere fedeltà;
- il venditore vende una quota di partecipazione e compra denaro liquido / il cliente comprare una quota di partecipazione e vende il proprio denaro liquido;
- il venditore vende una bistecca alla fiorentina e compra pubblicità / il cliente compra la bistecca e vende reputazione.
Scegliere qualcosa di diverso da venditore-cliente ci è utile a sviluppare una visione più complessa della dinamica di generazione del profitto. Parafrasando lo chef-star Carlo Cracco, potrei dire: “Se vuoi fare il figo chiamali partner” (il titolo originale del libro di ricette è “Se vuoi fare il figo usa lo scalogno”).
Nella fisica nucleare, partner è il termine con cui si qualifica una particella che sia in una specifica relazione con un’altra. La teoria della Supersimmetria ci dice che per ogni particella esiste una particella partner. Così ne parla il CERN:
“Supersymmetry predicts that each of the particles in the Standard Model has a partner with a spin that differs by half of a unit. So bosons are accompanied by fermions and vice versa. Linked to their differences in spin are differences in their collective properties. Fermions are very standoffish; every one must be in a different state. On the other hand, bosons are very clannish; they prefer to be in the same state. Fermions and bosons seem as different as could be, yet supersymmetry brings the two types together.”
Per come la vedo io, il termine partner funziona. Lo scambio che genera il profitto è una specifica relazione. Nel modello dello scambio per ogni venditore c’è almeno un cliente e viceversa. Cliente e venditore sono diversi ed entrano nello scambio con logiche diverse, ma lo scambio stesso “brings the two types together”.
2. Scambiare valore
Possiamo pensare che l’oggetto dello scambio tra i due partner sia un bene o un servizio, oppure possiamo adottare un punto di vista più generale, includendo qualsiasi proposta di valore che soddisfi un bisogno o desiderio e che sia suscettibile di essere scambiata sul mercato. Mi convince di più la seconda via. È inclusiva e mi permette di introdurre nel modello teorico tre mattoncini, presi in prestito da Michael Porter, che ritengo molo utili: l concetti di valore, vantaggio competitivo e catena del valore. La catena del valore, in particolare, sarà utile a spiegare perché, secondo me, il capitale umano è la causa radice del profitto sostenibile.
Michael Porter è un economista, ricercatore, autore, consulente e insegnante. Si laurea nel 1969 in Ingegneria aerospaziale e meccanica a Princeton e, tra il 1971 e il 1973, completa anche l’MBA e il dottorato alla Business School di Harvard. Il libro pubblicato nel 1985 con il titolo “The Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance”, rimane tutt’oggi una pietra miliare nel viaggio intorno al tema della performance delle aziende.
L’intento dell’autore fu quello di scoprire i fondamenti del vantaggio competitivo e della sua sostenibilità (che va qui intesa nel significato di doing good business on the long run). Il vantaggio competitivo indica l’abilità di una attività economica di performare meglio dei competitor su un certo mercato. La sua sostenibilità indica la capacità del vantaggio competitivo di resistere all’erosione provocata dai competitor o dall’evoluzione del mercato.
Secondo Porter, tanto il vantaggio competitivo quanto la sua sostenibilità risiedono nel valore che l’attività economica offre al mercato o, per dirla in altri termini, porta nello scambio. Il valore non è datato a priori: è l’interazione tra i partner che lo stabilisce. A un partner spetta il compito di elaborare una strategia per definirlo, sostenerlo e aggiornarlo, all’altro spetta il compito di quantificarlo. Se guardiamo le cose da questa prospettiva, possiamo ridefinire il profitto come:
il prezzo che un partner è disposto a pagare per acquisire il valore
–
il costo che l’altro partner sostiene per generarlo
Possiamo anche ridefinire la sostenibilità come:
la capacità di sostenere il profitto sul lungo periodo, nonostante sia i partner che il contesto dello scambio siano mutevoli, senza ricorrere a strategie ed azioni che mettano a repentaglio l’attività economica, la comunità o l’ambiente
Mi immagino che alcuni degli chef contemporanei facciano proprio questo, quando impiegano i prodotti del territorio per adattare le ricette della tradizione gastronomica ai gusti delle donne e degli uomini di oggi. Più in generale, questa mi pare essere la sfida strategica fondamentale per la sopravvivenza del nostro modello economico e del suo ecosistema: ossia la generazione di un profitto resiliente ed eco-logico, cioè logico rispetto al contesto.
3. La catena del valore
Rifocalizziamoci sulla dinamica dello scambio, dimentichiamoci per un momento del partner che quantifica il valore e concentriamoci su quello che lo genera. Come fa? Porter sostiene che la risposta sia la catena del valore.
Se privilegiamo una visione meccanicistica e concreta, possiamo pensare alla catena del valore come l’insieme delle attività che a partire da un’idea ci permettono di andare a mercato: design, produzione, marketing, vendita, consegna, post-vendita, e così via. Se privilegiamo una visione filosofica e astratta, possiamo pensarla come una narrazione sulla creazione, il mantenimento e la trasformazione del vantaggio competitivo.
Io trovo sia utile pensarla come un sistema di persone, processi e strumenti orientato alla creazione di un profitto sostenibile e mi piace pensare che lo stato di salute di un’attività economica e il successo di un imprenditore risiedano proprio nella catena del valore e nella sua sostenibilità. Nell’articolo successivo, ti racconto perché secondo me le cose stanno così e cosa c’entra il capitale umano in tutto questo..
- Tempo di lettura: 6'
1. Generare profitto attraverso lo scambio
Nell’articolo dedicato al profitto sostenibile, ho riportato la più semplice definizione di profitto che possiamo immaginare, cioè la differenza tra ciò che un’attività economica guadagna dalla vendita dei prodotti o servizi e i costi che deve sostenere per realizzarli.
Questa definizione funziona ed è semplice, ma ahimè ha due problemi. Non coglie la dimensione dello scambio e dimentica nel camerino l’altro attore protagonista: l’altro, appunto, o, semplificando, il “cliente”, che non compare da nessuna parte. Diciamo che è venditore-centrica.
Non penso ci siano dubbi sul fatto che sotto il tema del profitto ci sia uno scambio. Che siano soldi in cambio di un hamburger, soldi in cambio di diritti di proprietà, fidelizzazione in cambio di uno sconto o di diritti d’autore in cambio di visibilità poco conta. Se niente entra nello scambio, niente esce dallo scambio, nemmeno il profitto.
Volendo dare un nome più interessante ai partecipanti allo scambio per andare un po’ oltre la classica dicotomia venditore-cliente, c’è l’imbarazzo della scelta. Economisti, sociologi, filosofi, matematici, hanno costruito un ampio repertorio tra cui scegliere. Penso che scegliere qualcosa di diverso da venditore-cliente sia utile a focalizzare il fatto che anche il venditore compra qualcosa e anche il cliente vende qualcosa.
- il venditore vende un’auto e compra fidelizzazione / il cliente comprare l’auto e vendere fedeltà;
- il venditore vende una quota di partecipazione e compra denaro liquido / il cliente comprare una quota di partecipazione e vende il proprio denaro liquido;
- il venditore vende una bistecca alla fiorentina e compra pubblicità / il cliente compra la bistecca e vende reputazione.
Scegliere qualcosa di diverso da venditore-cliente ci è utile a sviluppare una visione più complessa della dinamica di generazione del profitto. Parafrasando lo chef-star Carlo Cracco, potrei dire: “Se vuoi fare il figo chiamali partner” (il titolo originale del libro di ricette è “Se vuoi fare il figo usa lo scalogno”).
Nella fisica nucleare, partner è il termine con cui si qualifica una particella che sia in una specifica relazione con un’altra. La teoria della Supersimmetria ci dice che per ogni particella esiste una particella partner. Così ne parla il CERN:
“Supersymmetry predicts that each of the particles in the Standard Model has a partner with a spin that differs by half of a unit. So bosons are accompanied by fermions and vice versa. Linked to their differences in spin are differences in their collective properties. Fermions are very standoffish; every one must be in a different state. On the other hand, bosons are very clannish; they prefer to be in the same state. Fermions and bosons seem as different as could be, yet supersymmetry brings the two types together.”
Per come la vedo io, il termine partner funziona. Lo scambio che genera il profitto è una specifica relazione. Nel modello dello scambio per ogni venditore c’è almeno un cliente e viceversa. Cliente e venditore sono diversi ed entrano nello scambio con logiche diverse, ma lo scambio stesso “brings the two types together”.
2. Scambiare valore
Possiamo pensare che l’oggetto dello scambio tra i due partner sia un bene o un servizio, oppure possiamo adottare un punto di vista più generale, includendo qualsiasi proposta di valore che soddisfi un bisogno o desiderio e che sia suscettibile di essere scambiata sul mercato. Mi convince di più la seconda via. È inclusiva e mi permette di introdurre nel modello teorico tre mattoncini, presi in prestito da Michael Porter, che ritengo molo utili: l concetti di valore, vantaggio competitivo e catena del valore. La catena del valore, in particolare, sarà utile a spiegare perché, secondo me, il capitale umano è la causa radice del profitto sostenibile.
Michael Porter è un economista, ricercatore, autore, consulente e insegnante. Si laurea nel 1969 in Ingegneria aerospaziale e meccanica a Princeton e, tra il 1971 e il 1973, completa anche l’MBA e il dottorato alla Business School di Harvard. Il libro pubblicato nel 1985 con il titolo “The Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance”, rimane tutt’oggi una pietra miliare nel viaggio intorno al tema della performance delle aziende.
L’intento dell’autore fu quello di scoprire i fondamenti del vantaggio competitivo e della sua sostenibilità (che va qui intesa nel significato di doing good business on the long run). Il vantaggio competitivo indica l’abilità di una attività economica di performare meglio dei competitor su un certo mercato. La sua sostenibilità indica la capacità del vantaggio competitivo di resistere all’erosione provocata dai competitor o dall’evoluzione del mercato.
Secondo Porter, tanto il vantaggio competitivo quanto la sua sostenibilità risiedono nel valore che l’attività economica offre al mercato o, per dirla in altri termini, porta nello scambio. Il valore non è datato a priori: è l’interazione tra i partner che lo stabilisce. A un partner spetta il compito di elaborare una strategia per definirlo, sostenerlo e aggiornarlo, all’altro spetta il compito di quantificarlo. Se guardiamo le cose da questa prospettiva, possiamo ridefinire il profitto come:
il prezzo che un partner è disposto a pagare per acquisire il valore
–
il costo che l’altro partner sostiene per generarlo
Possiamo anche ridefinire la sostenibilità come:
la capacità di sostenere il profitto sul lungo periodo, nonostante sia i partner che il contesto dello scambio siano mutevoli, senza ricorrere a strategie ed azioni che mettano a repentaglio l’attività economica, la comunità o l’ambiente
Mi immagino che alcuni degli chef contemporanei facciano proprio questo, quando impiegano i prodotti del territorio per adattare le ricette della tradizione gastronomica ai gusti delle donne e degli uomini di oggi. Più in generale, questa mi pare essere la sfida strategica fondamentale per la sopravvivenza del nostro modello economico e del suo ecosistema: ossia la generazione di un profitto resiliente ed eco-logico, cioè logico rispetto al contesto.
3. La catena del valore
Rifocalizziamoci sulla dinamica dello scambio, dimentichiamoci per un momento del partner che quantifica il valore e concentriamoci quello che lo genera. Come fa? Porter sostiene che la risposta sia la catena del valore.
Se privilegiamo una visione meccanicistica e concreta, possiamo pensare alla catena del valore come l’insieme delle attività che a partire da un’idea ci permettono di andare a mercato: design, produzione, marketing, vendita, consegna, post-vendita, e così via. Se privilegiamo una visione filosofica e astratta, possiamo pensarla come una narrazione sulla creazione, il mantenimento e la trasformazione del vantaggio competitivo.
Io trovo sia utile pensarla come un sistema di persone, processi e strumenti orientato alla creazione di un profitto sostenibile e mi piace pensare che lo stato di salute di un’attività economica e il successo di un imprenditore risiedano proprio nella catena del valore e nella sua sostenibilità. Nell’articolo successivo, ti racconto perché secondo me le cose stanno così e cosa c’entra il capitale umano in tutto questo..