Il profitto sostenibile

1. Profitto = ricavi - costi

Nell’articolo dedicato agli asset del mio lavoro come consulente, ho sostenuto che il risultato consiste nell’aiutare il cliente a generare un profitto sostenibile. Chiarisco cosa intendo per profitto e, soprattutto, cosa intendo per sostenibile.

Intorno al 1200, in Italia secondo alcuni studiosi, in Cina secondo altri, si diffonde l’utilizzo della contabilità a partita doppia. Da quel momento in poi, 800 anni di pratica commerciale e di riflessione teorica sul significato dell’attività economica ci hanno consegnato una semplice verità: lo scopo fondamentale è la realizzazione di un profitto.

Possiamo pensare al profitto come la differenza tra il ricavo totale ottenuto dalla vendita di beni o servizi e i costi totali sostenuti per produrli o fornirli. Possiamo intenderlo come la remunerazione dell’imprenditore per il rischio di impresa e per l’efficienza nell’allocazione delle risorse produttive. O ancora, possiamo andare oltre la produzione fisica di beni e servizi per includere anche i guadagni generati da movimenti di mercato e da operazioni finanziarie basate su variazioni di prezzo o di valore degli asset. Possiamo estendere la definizione di beni e servizi, includendo qualsiasi proposta di valore che soddisfi un bisogno o desiderio e che sia suscettibile di essere venduta o scambiata sul mercato (un romanzo, un’opera d’arte, una canzone, un contenuto per TikTok, e così via). Possiamo lanciarci in qualsiasi tipo di speculazione teorica, ma il punto fondamentale non cambia: se un’attività economica non genera un profitto non sopravvive. Se i costi operativi superano il denaro guadagnato dalle vendite, presto o tardi per l’attività economica è game over.

Profitto  =  Ricavi  –  Costi

Se pensi che questa sia una rappresentazione troppo semplificata del funzionamento di una attività economica pensa a quel fisico che con quattro lettere e due segni matematici ha cambiato per sempre la storia del genere umano. A volte le cose semplici funzionano!

2. Dal profitto al profitto sostenibile

Ma non è tutto. La storia insegna anche se il profitto non è sostenibile sul lungo periodo prima o poi arriva un conto salato da pagare. L’Analisi sulle liquidazioni giudiziali realizzata da CRIBIS ci mostra dati preoccupanti: in Italia nei primi sei mesi del 2023 sono fallite 5.468 attività economiche, di cui il 32% operava nel settore del commercio, il 25% nel settore dei servizi, il 17% in quello dell’industria e altrettanto in quello dell’edilizia. La coda lunga della prima pandemia del nuovo millennio contribuisce a spiegare questi numeri, ma allo stesso tempo ci interroga sulla resilienza delle nostre attività economiche di fronte a eventi disruptive sempre più frequenti. Ci interroga sulla sostenibilità delle strategie per generare profitto.

Già vent’anni prima del COVID-19, alle soglie del nuovo millennio, era emerso un tema che affonda le radici nel filone ambientalista della “controcultura” degli anni ’70. Questo tema ha progressivamente acquisito rilevanza nel dibattito pubblico grazie ad eventi globali come il primo Earth Day nel 1970, la Conferenza sull’ambiente umano di Stoccolma 1972 e il Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992. Tra il 28 novembre e il 3 dicembre del 1999 a Seattle, in occasione della conferenza della World Trade Organization, manifesta per la prima volta tutta la sua forza dirompente e nei vent’anni successivi, si alimenta di contributi molto diversi tra loro, sia per il contesto in cui nascono che per il modo con cui si esprimono e comunicano:

 

Muovendo da un’analisi critica dell’impatto dell’uomo sull’ecosistema e sulla società, oggi, il tema della sostenibilità si è affermato come contrappeso etico alle strategie per generare profitto.

Non sono un esperto di teorie della sostenibilità. Tuttavia, condivido il modo in cui Andrew Winston sintetizza il tema, in relazione alla moda del momento costituita dai cosiddetti criteri ESG. In un articolo pubblicato nel 2022 sulla MIT Sloan Management Review intitolato: “What’s Lost When We Talk ‘ESG’ and Not ‘Sustainability’”, Winston scrive: 

“ESG è il linguaggio che utilizzano gli investitori per distinguere i fondi di investimento che, in teoria, selezionano le aziende in base a un certo livello di sostenibilità o vantaggio nelle performance.”

Per quanto il coinvolgimento delle grandi istituzioni finanziarie nella discussione intorno alla sostenibilità rappresenti un’opportunità, ridurre tutto a un insieme di criteri ESG significa schiacciarsi esclusivamente sulla prospettiva del mercato e della massimizzazione del profitto per gli investitori. A questo proposito, Winston scrive:

“Ma ho una preoccupazione filosofica più ampia riguardo al linguaggio guidato dagli investitori. Vedere tutto attraverso la lente dei mercati e la ricerca della massimizzazione del profitto degli azionisti è in gran parte il modo in cui ci siamo ritrovati in questo pasticcio.”

Un pasticcio che va dallo sfruttamento dissennato delle risorse ambientali, alla crisi climatica, alla distribuzione fortemente diseguale del benessere e della ricchezza e che, immancabilmente, si traduce in un conto salato da pagare. Identificare chi  paga il conto ci aiuta a delineare due versanti del concetto di sostenibilità.

Se pensiamo che a pagare siano le attività economiche, dobbiamo intendere la sostenibilità come “doing good business on the long-run”. Qui la sostenibilità è alimentata da quell’insieme di strategie, decisioni e azioni orientate a:

costruire un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti

difenderlo dagli effetti erosivi provocati dall’azione dei concorrenti, dall’evoluzione del mercato o di altri fattori di contesto

gestire con efficacia i fondamentali di lungo periodo dell’attività economica

assicurare stabilità finanziaria

generare profitti soddisfacenti per i dipendenti, i collaboratori, l’imprenditore e gli shareholder

Se pensiamo che a pagare il prezzo sia la collettività, dobbiamo misurare la sostenibilità in termini di impatto dell’attività economica sull’ecosistema naturale, sulle reti di relazioni tra individui e sulla salute. Qui la sostenibilità è alimentata da quell’insieme di strategie, decisioni e azioni orientate a:

generare un impatto netto positivo sull’ambiente e sulla comunità locale

Su questo versante, la sostenibilità poggia sulla consapevolezza che le attività economiche sono responsabili dell’impatto che esercitano sull’ambiente e la società. Impatto netto positivo suggerisce l’idea che le imprese dovrebbero avere un effetto complessivamente positivo, oltre a perseguire profitti finanziari. L’impegno per ridurre le conseguenze negative si somma alle azioni che generano un surplus di benessere sociale e ambientale sufficientemente grande da compensarle.

Mi aspetto che la transizione verso il pareggio di bilancio della sostenibilità sia lenta. Non dipende solo dal mindset delle imprese: servono tecnologie, leggi, procedure amministrative, infrastrutture, e così via. Serve che gli investimenti degli imprenditori in sostenibilità diventino meno costosi e abbiano un ritorno misurabile. E serve anche che, quando le condizioni si realizzano, gli stessi imprenditori siano pronti a coglierle al volo.

 

1. Profitto = ricavi - costi

Nell’articolo dedicato agli asset del mio lavoro come consulente, ho sostenuto che il risultato consiste nell’aiutare il cliente a generare un profitto sostenibile. Chiarisco cosa intendo per profitto e, soprattutto, cosa intendo per sostenibile.

Intorno al 1200, in Italia secondo alcuni studiosi, in Cina secondo altri, si diffonde l’utilizzo della contabilità a partita doppia. Da quel momento in poi, 800 anni di pratica commerciale e di riflessione teorica sul significato dell’attività economica ci hanno consegnato una semplice verità: lo scopo fondamentale è la realizzazione di un profitto.

Possiamo pensare al profitto come la differenza tra il ricavo totale ottenuto dalla vendita di beni o servizi e i costi totali sostenuti per produrli o fornirli. Possiamo intenderlo come la remunerazione dell’imprenditore per il rischio di impresa e per l’efficienza nell’allocazione delle risorse produttive. O ancora, possiamo andare oltre la produzione fisica di beni e servizi per includere anche i guadagni generati da movimenti di mercato e da operazioni finanziarie basate su variazioni di prezzo o di valore degli asset. Possiamo estendere la definizione di beni e servizi, includendo qualsiasi proposta di valore che soddisfi un bisogno o desiderio e che sia suscettibile di essere venduta o scambiata sul mercato (un romanzo, un’opera d’arte, una canzone, un contenuto per TikTok, e così via). Possiamo lanciarci in qualsiasi tipo di speculazione teorica, ma il punto fondamentale non cambia: se un’attività economica non genera un profitto non sopravvive. Se i costi operativi superano il denaro guadagnato dalle vendite, presto o tardi per l’attività economica è game over.

Profitto

=

Ricavi

Costi

Se pensi che questa sia una rappresentazione troppo semplificata del funzionamento di una attività economica pensa a quel fisico che con quattro lettere e due segni matematici ha cambiato per sempre la storia del genere umano. A volte le cose semplici funzionano!

2. Dal profitto al profitto sostenibile

Ma non è tutto. La storia insegna anche se il profitto non è sostenibile sul lungo periodo prima o poi arriva un conto salato da pagare. L’Analisi sulle liquidazioni giudiziali realizzata da CRIBIS ci mostra dati preoccupanti: in Italia nei primi sei mesi del 2023 sono fallite 5.468 attività economiche, di cui il 32% operava nel settore del commercio, il 25% nel settore dei servizi, il 17% in quello dell’industria e altrettanto in quello dell’edilizia. La coda lunga della prima pandemia del nuovo millennio contribuisce a spiegare questi numeri, ma allo stesso tempo ci interroga sulla resilienza delle nostre attività economiche di fronte a eventi disruptive sempre più frequenti. Ci interroga sulla sostenibilità delle strategie per generare profitto.

Già vent’anni prima del COVID-19, alle soglie del nuovo millennio, era emerso un tema che affonda le radici nel filone ambientalista della “controcultura” degli anni ’70. Questo tema ha progressivamente acquisito rilevanza nel dibattito pubblico grazie ad eventi globali come il primo Earth Day nel 1970, la Conferenza sull’ambiente umano di Stoccolma 1972 e il Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992. Tra il 28 novembre e il 3 dicembre del 1999 a Seattle, in occasione della conferenza della World Trade Organization, manifesta per la prima volta tutta la sua forza dirompente e nei vent’anni successivi, si alimenta di contributi molto diversi tra loro, sia per il contesto in cui nascono che per il modo con cui si esprimono e comunicano:

 

Muovendo da un’analisi critica dell’impatto dell’uomo sull’ecosistema e sulla società, oggi, il tema della sostenibilità si è affermato come contrappeso etico alle strategie per generare profitto.

Non sono un esperto di teorie della sostenibilità. Tuttavia, condivido il modo in cui Andrew Winston sintetizza il tema, in relazione alla moda del momento costituita dai cosiddetti criteri ESG. In un articolo pubblicato nel 2022 sulla MIT Sloan Management Review intitolato: “What’s Lost When We Talk ‘ESG’ and Not ‘Sustainability’”, Winston scrive: 

“ESG è il linguaggio che utilizzano gli investitori per distinguere i fondi di investimento che, in teoria, selezionano le aziende in base a un certo livello di sostenibilità o vantaggio nelle performance.”

Per quanto il coinvolgimento delle grandi istituzioni finanziarie nella discussione intorno alla sostenibilità rappresenti un’opportunità, ridurre tutto a un insieme di criteri ESG significa schiacciarsi esclusivamente sulla prospettiva del mercato e della massimizzazione del profitto per gli investitori. A questo proposito, Winston scrive:

“Ma ho una preoccupazione filosofica più ampia riguardo al linguaggio guidato dagli investitori. Vedere tutto attraverso la lente dei mercati e la ricerca della massimizzazione del profitto degli azionisti è in gran parte il modo in cui ci siamo ritrovati in questo pasticcio.”

Un pasticcio che va dallo sfruttamento dissennato delle risorse ambientali, alla crisi climatica, alla distribuzione fortemente diseguale del benessere e della ricchezza e che, immancabilmente, si traduce in un conto salato da pagare. Identificare chi  paga il conto ci aiuta a delineare due versanti del concetto di sostenibilità.

Se pensiamo che a pagare siano le attività economiche, dobbiamo intendere la sostenibilità come “doing good business on the long-run”. Qui la sostenibilità è alimentata da quell’insieme di strategie, decisioni e azioni orientate a:

costruire un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti

difenderlo dagli effetti erosivi provocati dall’azione dei concorrenti, dall’evoluzione del mercato o di altri fattori di contesto

gestire con efficacia i fondamentali di lungo periodo dell’attività economica

assicurare stabilità finanziaria

generare profitti soddisfacenti per i dipendenti, i collaboratori, l’imprenditore e gli shareholder

Se pensiamo che a pagare il prezzo sia la collettività, dobbiamo misurare la sostenibilità in termini di impatto dell’attività economica sull’ecosistema naturale, sulle reti di relazioni tra individui e sulla salute. Qui la sostenibilità è alimentata da quell’insieme di strategie, decisioni e azioni orientate a:

generare un impatto netto positivo sull’ambiente e sulla comunità locale

Su questo versante, la sostenibilità poggia sulla consapevolezza che le attività economiche sono responsabili dell’impatto che esercitano sull’ambiente e la società. Impatto netto positivo suggerisce l’idea che le imprese dovrebbero avere un effetto complessivamente positivo, oltre a perseguire profitti finanziari. L’impegno per ridurre le conseguenze negative si somma alle azioni che generano un surplus di benessere sociale e ambientale sufficientemente grande da compensarle.

Mi aspetto che la transizione verso il pareggio di bilancio della sostenibilità sia lenta. Non dipende solo dal mindset delle imprese: servono tecnologie, leggi, procedure amministrative, infrastrutture, e così via. Serve che gli investimenti degli imprenditori in sostenibilità diventino meno costosi e abbiano un ritorno misurabile. E serve anche che, quando le condizioni si realizzano, gli stessi imprenditori siano pronti a coglierle al volo.

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